Midsommar (2019), diretto da Ari Aster, segue la storia di Dani Ardor (interpretata da Florence Pugh), una giovane donna che affronta un lutto devastante: la sorella si suicida, causando anche la morte dei genitori. Dani è distrutta dal dolore e si trova emotivamente isolata, poiché il suo fidanzato Christian (Jack Reynor) è distante e manipolativo. Il loro rapporto è fragile, e Christian, invece di essere un sostegno, oscilla tra indifferenza e gaslighting emotivo. Nonostante il suo distacco, Dani si aggrappa a lui, sentendosi sola e vulnerabile.
Nel tentativo di salvare la loro relazione, Dani si unisce a Christian e ai suoi amici – Josh (William Jackson Harper), Mark (Will Poulter) e Pelle (Vilhelm Blomgren) – in un viaggio in Svezia, dove Pelle li invita a partecipare al raro e mistico festival di mezza estate nella sua comunità natale, Harga, situata in una remota località di Hälsingland. Ciò che inizia come una tranquilla celebrazione solare si trasforma presto in una serie di rituali inquietanti, svelando le tradizioni pagane della comunità. Dani, che cerca un senso di appartenenza e guarigione, si ritrova a confrontarsi con la sua sofferenza in un modo che cambierà la sua vita per sempre.
L’articolo prosegue parlando del film, ci sono spoiler!
Dani abbandona l’isolamento della famiglia tradizionale per abbracciare la comunità Altra – è una trasformazione dolorosa e salvifica, che sarà concessa solo a lei, rispetto al gruppo di persone che la accompagna. Solo chi è rotto, spezzato, può davvero guarire attraverso le forze rigenerative – e crudeli – della natura.
Ecco che il viaggio verso la comunità isolata di Hårga diviene per Dani l’occasione di trasformarsi, elaborare il suo lutto, espandere i suoi confini sia percettivi che culturali, ed infine sperimentare come si possa diventare un tutto, partendo dall’essere un uno. L’individualità di Dani verrà messa in discussione, via via che il film procede e che lei diventa parte del culto, della comunità, della natura stessa di Harga. Così facendo, Dani sacrifica la sua individualità per diventare comunità, per diventare moltitudine.
Quando Dani attraversa la porta del villaggio, che è un enorme sole di legno, capiamo che sta attraversando il confine tra due mondi. In questo mondo Altro Dani potrà svelare il trauma, vederlo per quello che è, condividerlo ed infine trasformarlo: questa dinamica mi rimanda all’Arcano Maggiore numero 19, Il Sole. Tutto quello che c’è è visibile: e questa dinamica è molto presente nel film fin dai disegni che lo aprono, che, a guardar bene, descrivono esattamente quello che accadrà nel corso della storia. Tutto è svelato, ma tutto va attraversato. Da questo passaggio sopravviveranno solo lei, in virtù del suo viaggio trasformativo, e Pelle, lo studente che torna a casa – e che era partito per la sua Missione, ovvero quella di procurare vittime sacrificali per il rito di Mezza Estate.
L' arcano maggiore numero 19, Il Sole, rappresenta la massima espressione della luce, della chiarezza e della vitalità. È l'emblema della gioia, dell'ottimismo e della realizzazione personale, e illumina il cammino personale con fiducia e verità. Il Sole nel tarocchi simboleggia una fase di crescita e armonia, dove la consapevolezza di sé è pienamente sviluppata, e ogni ombra viene dissolta dalla forza della luce. C'è un senso di rivelazione, guarigione e potenza interiore che porta a una comprensione profonda della realtà e del proprio posto nel mondo.
Nel film di Ari Aster , la luce del giorno onnipresente durante il solstizio di mezza estate sembra essere un riflesso estremo dell'energia del Sole. Tuttavia, a differenza della serenità e del calore che l'arcano potrebbe suggerire, qui la luce diventa anche opprimente, soffocante, qualcosa che rende impossibile nascondere o fuggire le verità più profonde e inquietanti. In un certo senso, il sole qui non è solo un simbolo di vita, ma di un'esposizione radicale: tutto viene alla luce, dalle relazioni tossiche alle dinamiche di potere, ai rituali ancestrali.
.La protagonista, Dani, subisce un processo di trasmutazione emotiva sotto la luce incessante del sole svedese, che alla fine la porta a una trasformazione estrema, liberandola dalle sue catene psicologiche, sebbene in un modo inquietante e disturbante.
Midsommar ha un forte legame con i fiori, un simbolo che attraversa l'intero film, non solo come elemento decorativo o scenografico, ma come parte integrante del linguaggio visivo e simbolico della narrazione. Nella sua scena più iconica vediamo Dani avvolta da un gigantesco vestito di fiori, una costruzione visiva che annulla il suo corpo, frammentandolo e ricomponendolo attraverso migliaia di fiori che la rivestono, sia come abito che come corona. Questo vestito floreale, così grande e opprimente, simboleggia come Dani stia diventando parte della comunità, perdendo la sua individualità per fondersi con il gruppo. Il vestito, come un'estensione della natura, sembra quasi soffocarla, mostrando sia la bellezza sia il peso della sua nuova appartenenza a questo ciclo di vita e morte rappresentato dalla comunità di Harga.
Ogni fiore ha un suo significato e un suo posto nel film: dai fiori gialli sparsi per il villaggio – come anemoni, crisantemi, narcisi e la verga d’oro – che accompagnano ogni momento rituale, fino al campo di fiori in cui Dani gareggia per essere incoronata Regina di Maggio. Questi fiori non sono casuali: molti di essi, come il narciso e il crisantemo, tradizionalmente rappresentano il confine tra la vita e la morte, la rinascita e la trasformazione. Il colore giallo, che predomina in molte scene, porta con sé un doppio significato: è il colore del sole, della vitalità, ma anche della follia e del decadimento, sottolineando la dualità tra la celebrazione della vita e l’accettazione della morte che permea il culto di Harga.
La scena che più mi ha emozionata durante la visione del film in sala è quella in cui Dani finalmente può condividere il suo dolore e la sua rabbia: poco dopo essere stata incoronata come regina di Maggio, scoprirà il tradimento di Christian, che a sua volta è stato scelto come fecondatore di una nuova vita da Maja, ragazza Harga che lo ha sedotto con una pozione rituale. Noi osserviamo la scena dal buco della serratura da cui la vede Dani: una volta scoperto il tradimento, Dani vorrebbe nascondersi, per piangere in silenzio, ma le donne Harga la circondano e cominciano, anche loro, ad urlare, piangere, straziarsi insieme a lei. Il suo dolore è finalmente agito, condiviso, urlato. Il dolore della perdita della sua famiglia originaria, la morte della sorella, dei genitori, l’assenza del compagno e la sua incapacità di esprimere sentimenti di affetto, tutto viene urlato, pianto e gridato dalle donne della comunità. Dani non è più sola: il suo dolore è stato contenuto dalle donne Harga, metabolizzato attraverso la condivisione, la sua espressione.
Il finale di Midsommar, con il volto di Dani sul quale possiamo leggere un passaggio emotivo straordinario, è la conseguenza della scena di cui sopra: disgusto, dolore, rabbia ed infine gioia si avvicendano. Il sorriso finale di Dani, immersa nell’opulenza della natura, è la decostruzione di tutto quello che viene richiesto alle donne, oggi, nella società patriarcale. Dobbiamo essere in grado di superare il trauma, e farlo da sole, e continuare ad essere gentili, amorevoli, carine, accoglienti. Come scrive Sandra Huber:
Eppure questi affetti sono troppo grandi perché ogni persona da sola possa costruirli e tenerli insieme; crollano, si riversano o, se trattenuti, diventano come il fumo nero silenzioso e fluttuante che Dani sogna quando arriva a Hårga, che le esce dalla bocca al posto di un urlo.
Per il sacrificio finale, Dani sceglierà proprio Christian come nona vittima; si vendicherà pienamente, ed anche questa vendetta sarà agita alla luce del sole. È ciò che deve accadere, e anche per tutte noi che abbiamo vissuto il film attraverso la sua storia era quello che desideravamo: Dani compie questo atto, sfarzoso e manifesto, vendicandoci. Compie un atto violento e allo stesso tempo liberatorio: non è una brava bambina, ma è – diventa – la Dea Madre, dispensatrice di vita e di morte.
Conclusioni
Midsommar è un film che sfida, sovverte e rinnova i miti della rinascita e della distruzione, trasportandoci in un mondo dove il ciclo naturale della vita e della morte è accolto con una serenità inquietante. Attraverso la sua luce perenne, il film svela gradualmente le ombre che si annidano all’interno della comunità e nel cuore di Dani. Ogni scena, ogni rituale, ci invita a riflettere su cosa significhi davvero appartenere, su quanto siamo disposti a sacrificare di noi stessi per sentirci parte di qualcosa di più grande, e su come il dolore possa essere trasformato in forza.
Dani, inizialmente fragile e spezzata, attraverso il suo viaggio viene ricomposta, ma non nel modo tradizionale che ci aspettiamo. La sua rinascita passa attraverso il sacrificio, la vendetta e l’assimilazione completa nella natura crudele, spietata e ciclica che la comunità Harga rappresenta. Dani diventa natura, diventa forza distruttrice e creatrice allo stesso tempo. Non è più la ragazza persa e vulnerabile che cerca consolazione in chi non può darle sostegno. È diventata la Regina di Maggio, colei che ha abbracciato l’oscurità alla luce del sole.
Ari Aster ci conduce attraverso questo cammino con un ritmo ipnotico, costringendoci a guardare in faccia le dinamiche del dolore, della trasformazione e del potere femminile. Nel sorriso finale di Dani c’è la liberazione, ma c’è anche la consapevolezza che la sua identità è stata frammentata, scomposta e ricostruita. Non sappiamo cosa le riservi il futuro, ma sappiamo che, come la natura che la circonda, anche lei è capace di adattarsi e sopravvivere, anche a costo della distruzione di ciò che una volta era.
Midsommar non è solo un film horror: è una riflessione profonda sulle dinamiche del trauma, del lutto e del riscatto, un inno oscuro alla potenza trasformativa della sofferenza. Guardandolo, ci confrontiamo con la nostra vulnerabilità e la nostra forza, e ci chiediamo quanto siamo disposti a sacrificare per rinascere.
FONTI BIBLIOGRAFICHE
Bloomfield, E. F. (2021). The Rhetoric of Spirituality, Gender, and the Environment in The Wicker Man (1973) and Midsommar (2019).
Bharali, P. A Midsummer’s Nightmare, a May-queen in Mayhem: Channeling Ari Aster’s movie Midsommar from an Eco-Horror Perspective.
Tutte le foto dell’articolo provengono dal film Midsommar, regia di Ari Aster, 2019, eccettuato la carta dei tarocchi Il Sole, dal mazzo Rider Waite Smith.
NOTA: il presente articolo, eccettuata la parte sull'arcano Il Sole, era già stato pubblicato sul mio blog, Atelier di immaginazione
Io da un pò di anni vivo qui in Svezia, e ogni anno rimango colpita dalla loro celebrazione del Mittsommor (come lo chiamano loro qui) bellisimo tutto quello hi scritto 💐
È meraviglioso questo post! Anche io fan come te dell’horror 🙂